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VENDITA SENZA INCANTO – PROCURA

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Pubblicato da Associazione Notarile 302 - 98
7 Febbraio 2017
Categoria:   Giurisprudenza

Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con sentenza del 5 maggio 2016 n. 8951

Fatto
Con sentenza n. 1687 in data 05.02.2013, il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta dalla debitrice esecutata Tecnilens s.r.l. avverso gli atti compiuti dal notaio delegato per la vendita senza incanto e, segnatamente, avverso il provvedimento di non ammissione all’eventuale gara del mandatario dell’offerente società Artiade Property Company, nonché avverso il provvedimento di inidoneità dell’offerta presentata da Ladunia Servizi s.r.l. per il tramite del procuratore A.S.; ha rigettato la domanda di Safilo s.p.a. che aveva prestato adesione all’opposizione limitatamente all’esclusione dell’offerta di Ladunia Servizi s.r.l.; ha quindi, rigettato, anche la domanda di quest’ultima società, la quale – sulla base del medesimo presupposto dell’idoneità dell’offerta – chiedeva la revoca del verbale di vendita fruttuosa e dell’aggiudicazione in favore di Velvet s.p.a..
Il Tribunale ha, infine, condannato Tecnilens al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 8.250,00 in favore di ognuna delle parti costituite, con esclusione di Safilo s.p.a. e di Ladunia s.r.l. nei confronti delle quali dichiarava le stesse spese compensate.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Tecnilens s.r.l., svolgendo cinque motivi.
Ha resistito Velvet s.p.a., depositando controricorso e memoria;
mentre la Banca Carige s.p.a. ha depositato procura notarile, oltre alla memoria.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli altri intimati.

Diritto

1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della memoria depositata da Carige s.p.a.. Invero la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controricorso da notificarsi alla controparte ex art. 370 c.p.c.. In mancanza di tale atto, essa non può presentare memoria, ma solamente partecipare alla discussione orale (come è avvenuto, nella specie, da parte del legale della Carige, previo deposito di procura notarile).

2. Il Tribunale – premesso che ai sensi dell’art. 571 c.p.c. l’offerta per l’acquisto deve essere proposta personalmente o a mezzo di procuratore legale anche a norma dell’art. 579, u.c. – ha rilevato che la norma prevede due categorie di soggetti che possono proporre l’offerta nella vendita senza incanto, con la precisazione che il termine procuratore legale deve intendersi sostituito con quello di avvocato; ha, altresì, evidenziato che, nella vendita con incanto, il legislatore, pure individuando tre categorie di soggetti legittimati a partecipare all’incanto, ha evidentemente reputato come eccezionale la partecipazione di mandatario munito di procura speciale, consentendo ai sensi dell’art. 579 c.p.c. al solo avvocato di fare offerte per persona da nominare; ha, infine, rimarcato che –
anche argomentando a contrario da un precedente di legittimità (Cass. n. 578/2005) relativo all’eventuale aumento di sesto nella vendita all’incanto – risultava confermato che, nella vendita senza incanto, l’offerta deve essere comunque effettuata dall’offerente personalmente oppure a mezzo di un avvocato anche nell’eventuale gara successiva all’apertura delle buste.
Da tali premesse il Tribunale ha tratto la considerazione della correttezza delle decisioni assunte dal notaio delegato per la vendita senza incanto di non ammettere l’offerta di Ladunia Servizi s.r.l. e di non ammettere all’eventuale gara il mandatario di Artiade Property Company s.p.a., osservando:
quanto alla posizione di Ladunia, che l’offerta non era sottoscritta dalla parte personalmente ossia dal legale rappresentante della società, bensì da un mero mandatario munito di procura speciale ( A.S.D.);
quanto alla posizione di Artiade che, pur essendo l’offerta debitamente sottoscritta dal presidente del C.d.A., in sede di vendita senza incanto innanzi al notaio era presente un mero mandatario con procura speciale ( R.C.), che non era avvocato.

2.1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), rappresentato dall’avvenuta attribuzione dei poteri di institore della offerente esclusa Ladunia Servizi s.r.l. al sign. A.S.. Al riguardo la ricorrente si duole che il Tribunale si sia limitato a confermare l’inidoneità dell’offerta “in quanto sottoscritta da A.S.D. in forza della procura speciale conteritagli”, mentre “la circostanza della preposizione institoria non è stata degnata di alcuna considerazione”.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione delle norme che disciplinano l’interpretazione del contratto e dei negozi unilaterali nell’avere escluso che la procura, attribuita al soggetto che ebbe a sottoscrivere l’offerta di acquisto e che partecipò alla seduta di aggiudicazione convocata dal professionista delegato avesse natura ed effetti di atto di preposizione institoria (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente deduce che la procura speciale, di cui riproduce i contenuti in ricorso, “al di là della sua intitolazione, ha il contenuto e gli effetti di atto di preposizione institori”.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 571 c.p.c. nella parte in cui prevede che ognuno (tranne il debitore) ha diritto ad essere ammesso ad offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato personalmente o a mezzo di procuratore legale, nonché violazione o falsa applicazione dell’art. 2203 e 2204 cod. civ. nell’aver considerato l’institore un semplice mandatario in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente ribadisce che l’offerta di Ladunia era valida perché avanzata dalla società a mezzo di un proprio organo qual è l’institore.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 571 c.p.c. nella parte in cui si prevede che l’offerente possa farsi validamente ed efficacemente rappresentare da altro soggetto nella presentazione dell’offerta e nella partecipazione all’eventuale gara tra gli offerenti; violazione o falsa applicazione del principio costituzionale dell’uguaglianza (art. 3 Cost.), essendo nella sostanza identiche le posizioni degli offerenti nelle ipotesi rispettivamente previste e disciplinate dagli artt. 571 e 579 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) Al riguardo parte ricorrente lamenta che il Tribunale abbia erroneamente attribuito all’espressione “procuratore legale” il significato di “avvocato” con un’interpretazione rigorosamente letterale ancorata alla mera abolizione della figura del procuratore, che non sarebbe consentita con riferimento al dettato dell’art. 571 c.p.c. nell’attuale testo, siccome successivo alla L. n. 27 del 1997, art. 3; osserva, quindi, che non vi è ragione di ammettere alla vendita senza incanto gli esercenti la professione forense e che andrebbe applicata per analogia l’art. 579 c.p.c. che ammette alla vendita con incanto il mandatario con procura speciale.

3. I primi tre motivi riguardano la posizione Ladunia e sono sostanzialmente incentrati sull’assunto, categoricamente smentito dalla decisione impugnata, che la società fosse rappresentata da un proprio institore.

3.1. Innanzitutto la censura non è sussumibile nell’ambito del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 evocato con il primo motivo. Di tale norma va fatta propria l’interpretazione adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881), in forza della quale:
– in primo luogo, il sindacato sulla motivazione è ormai ristretto al “minimo costituzionale” e, quindi, ai casi di inesistenza della motivazione in sè, cioè alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;
– in secondo luogo, il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ai fini della ammissibilità del vizio in questione, il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” – testuale o extratestuale – da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Deriva da ciò che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Nella specie “il fatto” dedotto a fondamento del primo motivo – e cioè, nella sostanza, l’essere il soggetto che aveva sottoscritto l’offerta per la Ladunia (Lazraky) institore in quanto a ciò qualificato (in tesi) dalla procura speciale è stato esaminato, avendo il Tribunale fatto specifico riferimento a detta procura (identificata come doc. n. 1 della produzione Ladunia) e precisato:
“dal materiale probatorio in atti non risulta che lo stesso possa essere considerato un institore ex art. 2203 c.c., Né l’opposta Laudania ha formulato istanze di prova sul punto, chiedendo anch’essa alla prima udienza del 12.11.09 che venisse fissata l’udienza per la precisazione delle conclusioni” (cfr. pag. 6 in sentenza). D’altra parte la valutazione delle emergenze probatorie in senso difforme da quanto auspicato dalla parte non integra, con evidenza, il vizio motivazionale.

3.2. La tesi difensiva si rivela, inoltre, manifestamente infondata sotto gli altri profili della violazione della legge sostanziale e processuale, prospettati con i restanti motivi all’esame.
Invero – a prescindere dall’assoluta genericità della denuncia di violazione delle regole dell’ermeneusi contrattuale – è assorbente la considerazione che è lo stesso conferimento del potere di compiere singoli specifici atti (quale emerge dai contenuti della procura riportati in ricorso), prescindendo da qualsivoglia elemento che faccia supporre una preposizione institoria, a rivelarsi inconciliabile con la tesi difensiva di parte ricorrente. Invero ai sensi dell’art. 2203 cod. civ.. è dalla preposizione all’impresa commerciale (o a un ramo di essa o ad una sede secondaria) che l’institore deriva un potere di rappresentanza: potere, peraltro, che, in mancanza dell’iscrizione della procura nel registro delle imprese, deve ritenersi generale.
In definitiva nessuno dei motivi all’esame merita accoglimento.

4. Il quarto motivo riguarda anche la posizione di Artiade. Con esso si profila l’idea – per il vero al limite della temerarietà – che il procuratore legale, cui fa riferimento la norma, sia un soggetto munito di procura. In sostanza si vorrebbe assimilare l’espressione “procuratore legale” a quella di procuratore “non falsus”; il che esprime un concetto platealmente privo di fondamento.
Correttamente, inoltre, il giudice a quo ha ritenuto che l’espressione contenuta nell’art. 571 c.p.c. “ a mezzo di procuratore legale…” dovesse intendersi sostituita da quella “ a mezzo di avvocato”. E ciò in quanto, a norma della L. n. 27 del 1997, art. 3 “il termine “procuratore legale” contenuto in disposizioni legislative vigenti si intende sostituito con il termine “avvocato”.
Ancora una volta va rimarcata la temerarietà della tesi difensiva che vorrebbe escludere l’applicabilità di quest’ultima disposizione, sul presupposto che l’art. 571 c.p.c. è stato novato nel 2005; e ciò tralasciando di considerare che in parte qua l’art. 571 ha mantenuto il suo tenore originario, per cui, già prima della novella, doveva intendersi nel senso precisato dall’art. 3 L. n. 27 del 1997.
Analoga sostituzione da intendersi, poi, operata nell’art. 579 c.p.c., u.c., secondo cui “i procuratori legali possono fare offerte per persona da nominare”, relegando in tal modo – come osservato dal Tribunale – in una posizione marginale la possibilità che in sede di vendita all’incanto possa presentare offerte il procuratore non esercente la professione forense.
In ogni caso la differenza strutturale tra l’una e l’altra forma di vendita – posto che con l’incanto non si manifesta la volontà irrevocabile di acquistare, ma si dichiara soltanto di voler partecipare al relativo procedimento (senza essere neppure vincolati a tale manifestazione di volontà), mentre l’offerta di vendita senza incanto è irrevocabile almeno fino a quando il G.E. o il suo delegato l’abbiano esaminata e comunque per centoventi giorni rendono improponibile l’assunzione come parametro di riferimento ai sensi dell’art. 3 Cost. della diversa disciplina di cui all’art. 579 c.p.c. per la vendita con incanto; peraltro la delicatezza delle scelte che l’offerente è chiamato ad assumere nella vendita senza incanto (valga, per tutte, proprio la scelta di partecipare all’eventuale gara) rendono non irrazionale l’opzione legislativa adottata per la relativa disciplina, richiedendo la figura tecnica di un legale, ove l’offerta non sia presentata personalmente; di conseguenza la questione di costituzionalità della norma di cui all’art. 571 c.p.c. risulta manifestamente infondata.
È appena il caso di osservare che l’auspicato ricorso all’analogia è precluso proprio dall’esistenza della specifica disposizione di cui all’art. 571 c.p.c..
Anche il quarto motivo va, dunque, rigettato.

5. Con il quinto motivo formulato in via subordinata si deduce violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in materia di determinazione del compenso professionale ai fini della condanna della parte soccombente al relativo pagamento. Al riguardo parte ricorrente si duole che la quantificazione delle spese processuali, pur operata espressamente con condivisibile riferimento allo scaglione concernente le cause di valore indeterminabile, sia erronea per eccesso degli importi liquidati, tenendo conto dei valori medi di liquidazione stabiliti dal D.M. 140/2012.

5.1. Il motivo va rigettato.
Basti, sul punto, rilevare che, nel sistema dei parametri per la liquidazione del compenso professionale ad opera degli organi giurisdizionali introdotto dal D.M. da ultimo citato, il giudice di merito è dotato, nella determinazione dell’entità del compenso, di ampia discrezionalità, potendo quantificare gli importi secondo un –
assai rilevante- range di oscillazione tra valori minimi e massimi (distinti per scaglioni di classificazione delle cause) e potendo altresì ulteriormente aumentare o diminuire il compenso così determinato in considerazione delle circostanze concrete della vicenda (esemplificativamente, natura e complessità della controversia, numero, importanza e complessità delle questioni trattate, pregio dell’opera prestata, vantaggi conseguiti dal cliente).
La quantificazione degli importi da liquidare si profila, dunque, come il risultato di un apprezzamento valutativo di fatto (in primo luogo, quanto all’ancorare la liquidazione a valori più prossimi ai minimi ovvero ai massimi stabiliti) che, se non contestato in maniera puntuale ed analitica, risulta incensurabile in sede di legittimità.
Le indicate caratteristiche di specificità e analiticità non connotano sicuramente il motivo di ricorso in esame, atteso che la società ricorrente si limita ad affermare che non era dovuto il compenso per la fase istruttoria e che il giudice non avrebbe dovuto discostarsi dai valori medi, sull’assunto che la causa svoltasi innanzi al Tribunale di Milano “non ha richiesto alcuna attività istruttoria e non può ritenersi di particolare complessità”.
Senonché il D.M. n. 140 del 2012, art. 11, comma 5 ricomprende nella fase istruttoria, a solo titolo esemplificativo, un complesso di attività, non esclusivamente riferibili all’acquisizione della prova (e in specie, le richieste di prova, le memorie di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e conclusioni, ovvero meramente illustrative, l’esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione, ecc.), rispetto alle quali la censura si rivela, per un verso, inammissibile per difetto di specifiche indicazioni sul concreto svolgimento di siffatta attività e, per altro verso, comunque, infondata, nella misura in cui appare postulare un riduttivo concetto di “attività istruttoria”.
Anche la predicata applicabilità della maggiorazione del 60% è svolta in termini assolutamente generici a fronte di un range molto più ampio previsto dalla tariffa (prevedente l’applicazione del “valore medio di liquidazione corrispondente a quello dello scaglione di riferimento aumentato fino al 150% ovvero diminuito sino al 50%”).

6. In definitiva il ricorso va rigettato.
La liquidazione delle spese del giudizio di legittimità si conforma al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata, alla stregua dei parametri fissati dal D.M. 55/2014, come in dispositivo, tenuto conto, quanto alla Carige, della sola difesa orale (cfr. sub. 1).
Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione –
del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore dei Velvet s.a.s. di F.A. & C. in Euro 2.800,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali e in favore di Banca Carige s.p.a. in Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2016